Secondo il dettato legislativo ciascuno può utilizzare il bene comune secondo le proprie esigenze, ma con il duplice obbligo di rispettare il diritto al pari uso da parte degli altri condomini e di non mutarne la destinazione. La legge n. 220/2012 di riforma delcondominio, al fine inquadrare le modificazioni delle destinazioni d’uso in un ambito legislativo, con l’art. 1117ter ha introdotto una norma specifica che limita gli interventi alla necessità di soddisfare esigenze diinteresse condominiale, ma nel rispetto di determinati atti propedeutici, qualil’approvazione di una delibera assembleare, adottata con una maggioranza più che rilevante e pari ai quattro quinti sia dei partecipanti al condominio, sia dei millesimi di proprietà. Stante l’importanza dell’opera, inoltre, l’avviso di convocazione dell’assemblea deve rimanere affisso, per non meno di trenta giorni consecutivi, in uno spazio condominiale ove lo stesso sia più facilmente visibile e deve essere, comunque, trasmesso ai condomini tramite lettera raccomandata o mezzi equipollenti e ricevuto almeno venti giorni prima dell’assemblea. A pena di nullità l’avviso deve indicare le parti comuni oggetto di modificazione e la nuovadestinazione impressa, che non è immune dal rispetto della stabilità o sicurezza del fabbricato e del decoro architettonico. di proprietà. Stante l’importanza dell’opera, inoltre, l’avviso di convocazione dell’assemblea deve .rimanere affisso, per non meno di trenta giorni consecutivi, in uno spazio condominiale ove lo stesso sia più facilmente visibile e deve essere, comunque, trasmesso ai condomini tramite lettera raccomandata o mezzi equipollenti e ricevuto almeno venti giorni prima dell’assemblea. A pena di nullità l’avviso deve indicare le parti comuni oggetto di modificazione e la nuova destinazione impressa, che non è immune dal rispetto della stabilità o sicurezza del fabbricato e del decoro architettonico. La ratio ispiratrice della norma è palese: evitare che un’esigua maggioranza o addirittura un solo condomino pongano ostacoli ad un percorso necessario ed utile alla collettività, considerato che nel passato per alcuni tipi di interventi modificativi si parlava di unanimità di consensi. Non di rado si verifica la circostanza che veicoli e motocicli siano abbandonati dai legittimi proprietari, che scambiano il garage condominiale per un deposito. Può capitare sia per le autovetture non utilizzate per anni e che assumono l’aspetto di beni da rottamare, occupando in modo permanente un posto altrimenti fruibile, sia per i vecchi motorini lasciati in un angolo del locale comune. Talvolta, ma neppure tanto raramente,accade che il legittimo proprietario abbia anche venduto l’appartamento senza preoccuparsi di liberare il garage del proprio rifiuto. La più recente giurisprudenza penale, ha affermato che “in tema di gestione dei rifiuti, deve essere considerato “fuori uso” in base alla disciplina di cui all’art. 3 del D.Lgs. n. 209 del 2003, sia il veicolo di cui il proprietario si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi, sia quello destinato alla demolizione, ufficialmente privo delle targhe di immatricolazione, anche prima della materiale consegna a un centro di raccolta, sia quello che risultiin evidente stato di abbandono, anche se giacente in area privata”. Dalla decisione, che ha equiparato la giacenza di un’auto in un’area pubblica a quella in un’area privata che, nel nostro caso, può essere tanto il cortile condominiale quanto il garage comune, emerge che un’auto può definirsi rifiuto sia quando il proprietario con il suo comportamento protratto dimostri di non volersene più servire,sia nel caso - ancora più evidente - in cui il veicolo non sia più in grado di circolare. Al verificarsi di tale situazione, quindi, il proprietario non può - senza correre il rischio di essere sottoposto alle relative sanzioni - abbandonare in un’area condominiale il proprio veicolo lasciandolo al proprio destino e determinando una lesione degli altrui diritti. La Corte di Cassazione (sent. 16 gennaio 2014, n. 820) ha affermato che l’assemblea non può deliberare di rimuovere il mezzo con l’intervento del carro attrezzi ponendo le spese a carico del proprietario dell’autovettura. Questo neppure qualora sia stato modificato il regolamento del condominio, introducendouna norma in tal senso e che superi l’art. 70 delle disposizioni di attuazione del codice del condominio che sanziona, in via pecuniaria, i comportamenti che violano il regolamento stesso. Ha osservato, infatti, la Corte che la norma prevede solo sanzioni pecuniarie (ora elevate fino ad € 200 e in caso di recidiva fino ad € 800),talché non sarebbe consentito introdurre sanzioni diversamente afflittive che si tradurrebbero nel consentire, in ambito condominiale, un diritto di autotutela. Ovviamente ed a maggior ragione un singolo condomino non potrà mai determinarsi unilateralmente a procedere alla rimozione, tramite società specializzata, alla rimozione dell’automezzo (Cass. 09 febbraio 2011, n. 3180). L’amministratore dovrà invitare l’interessato a rimuovere spontaneamente l’autoveicolo abbandonato in sosta ovvero non concretamente utilizzabile ed applicare, quindi,le sanzioni previste dall’art. 70 citato. Nel caso di comportamento perseverante, sempre tenendo conto delle preclusioni di legge e sussistendone le condizioni, si potrà ricorrere al Giudice per chiedere un provvedimento di urgenza ai sensi dell’art. 700 c.p.c., ovvero un provvedimento cautelare ai sensi dell’art.1168 c.c. Attenzione a non parcheggiare l’auto in “modo selvaggio”, ci possono essere responsabilità penali a carico dei condomini che, indifferenti ai richiami dell’amministratore, continuino a parcheggiare le proprie auto o fuori dalle zone delimitate, oppure occupando ripetutamente le aree di manovra od ancora bloccando altri veicoli. L'art. 610 c.p. punisce, con la reclusione fino a quattro anni, colui che “con violenza o minaccia costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa”. Ciò è quanto affermato dalle Sezioni Unite Penali della Cassazione che, con recente decisione, confermativa di altri precedenti, ha ritenuto che “ integra il reato di violenza privata, di cui all’art.610 c.p., la condotta di colui che, avendo parcheggiato l’auto in maniera da ostruire l’ingresso al garage condominiale, si rifiuti di rimuoverla nonostante la richiesta della persona offesa”. Là dove il requisito della violenza o, in alternativa, della minaccia,che potrebbe sembrare discutibile se rapportato alla fattispecie in esame, è stato identificato dai giudici supremi in un qualsiasi mezzo idoneo a privare in modo coattivo il soggetto offeso della libertà di azione.(Cass. Sez. Un. 12 marzo 2013, n. 28487. Conf. Cass nn. 603/2011 e 21779/2006).
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